Ha da poco compiuto vent’anni il Regolamento dell’Autonomia delle Istituzioni Scolastiche (DPR 275/1999). Cercherò di ricostruire finalità ed intenzioni delle scelte di allora per metterle a confronto con gli interventi legislativi di questi due decenni. Inoltre, interessante sarà chiedersi se oggi si può parlare di reale autonomia e quali aspetti l’hanno favorita, quali ostacolata.

I primi passi

Punto di partenza che ha innescato in tutta Europa una riflessione sui sistemi di istruzione, formazione e sulla loro governance sono stati i processi di cambiamento con indicazioni di convergenza verso una Società della conoscenza, come il Libro Bianco di Delors del 1994 e il Libro Bianco della Cresson del 1995.

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Lo scenario nel nostro paese

Nel frattempo, in Italia, con la Legge Bassanini (L. 59/1997) si è cercato di sburocratizzare l’amministrazione pubblica e di decentrarne la gestione. Le parole chiave sono state decentramento, liberalizzazione, semplificazione e responsabilizzazione. La finalità è stata la modernizzazione del Paese attraverso la costruzione di un’alleanza tra pubblico e privato.

Per le istituzioni scolastiche, con il Regolamento dell’autonomia e con le norme conseguenti al processo di decentramento, che elencherò di seguito, si è passati da un’organizzazione piramidale ad una a rete.

Una rivoluzione copernicana

Prima dell’autonomia, al vertice si trovava il Ministero della Pubblica Istruzione che dettava le norme e i Programmi con natura prescrittiva, i Provveditorati quali corpi intermedi che applicavano i dettami del Ministero ed alla base le scuole. Con il riconoscimento dell’autonomia alle singole istituzioni scolastiche si è inteso passare ad una logica di rete, i cui attori sono le scuole stesse, il Miur (Ministero Istruzione Università e Ricerca), con i propri uffici periferici (Ufficio Scolastico Regionale e Territoriale) ed i propri Istituti di Ricerca e Formazione (Irsae), il contesto sociale, civile, culturale ed economico entro cui opera una scuola, la Conferenza Permanente Stato, Regioni, Enti Locali.

L’impostazione risulta, pertanto, completamente rivoluzionata: al centro si trova lo/la studente/essa cui la scuola e tutti gli attori ad essa collegati devono garantire il raggiungimento del personale successo formativo.

Una nuova impostazione didattica

Questo recita l’art. 1 c. 2 del DPR 275/1999: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche… Si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana,… Al fine di garantire il successo formativo”.

Inevitabili sono, infatti, le ricadute sul piano didattico. Si passa, infatti, dai Programmi nazionali del Ministero alla progettazione curriculare di istituto, dalle prescrizioni dall’alto alla programmazione/progettazione dal basso.

Il riferimento diventano, allora, le Indicazioni Nazionali, quadro entro il quale si operano le scelte delle singole scuole con l’elaborazione del POF, “documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche” (Art. 3 c. 1 DPR 275/1999), (ora PTOF, a seguito della L. 107/2015).

La progettualità didattica trova, allora, espressione nella stesura, condivisione ed approvazione del curricolo disciplinare e verticale in una scuola, riconosciuta quale ambiente di apprendimento. Per riuscire in questo la scuola deve essere “coerente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione” e fare sintesi con le istanze del contesto, ” la domanda delle famiglie e le caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti” (Art.1 c. 2 DPR 275/1999).

Scuola come comunità educante

In questa ottica si inserisce il principio della scuola come comunità educante, recentemente ripreso e valorizzato nell’ultimo CCNL Scuola, 2015-2018.

Nuove figure professionali

Inoltre, va riconosciuto anche un ruolo diverso alla professionalità del personale della scuola autonoma: i direttori e presidi vengono inquadrati come dirigenti; il docente insieme alla comunità professionale è chiamato ad effettuare scelte responsabili e condivise per tradurre le Indicazioni Nazionali in una proposta formativa e didattica efficace; il personale ATA collabora con incarichi specifici a dare attuazione a codesta autonomia.

Il curricolo va, pertanto, costruito nella scuola, non emanato dal centro. I docenti collegialmente devono riuscire a fare sintesi, attraverso di esso, tra l’istanza centrale, normativa e unitaria e l’istanza locale, contingente e flessibile. In questo quadro si inserisce anche la visione della scuola come luogo di ricerca, sperimentazione, sviluppo (Art. 6 DPR 275/1999) e laboratorio di innovazione.

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Programmazione per competenze

Diventa, quindi, indispensabile passare progressivamente ad una programmazione per competenze: cercare di far maturare negli/le studenti/esse competenze tecniche e per la vita, attraverso la proposta didattica di compiti esperti, nel rispetto delle Indicazioni Nazionali e del Profilo Educativo e Didattico di Uscita degli Studenti (PECUP).

Le tappe di una crescita

E’ importante ricalcare anche il quadro delle norme che hanno accompagnato il processo di autonomia della pubblica amministrazione ed, in particolare, delle istituzioni scolastiche, per arrivare a chiedersi se è stata davvero raggiunta una maturità.

Raggiunta la maturità?

A vent’anni di distanza possiamo elaborare un bilancio e verificare se l’autonomia raggiunta è reale, esigibile o rallentata da molti fattori esterni.

Purtroppo, non vediamo la realizzazione di un’autonomia come quella auspicata nel 1999. Cosa ha inciso sulla mancata piena attuazione? Spesso, le riforme calate dall’alto, che negli ultimi quindici anni hanno bipassato il canale delle sperimentazioni per introdurre cambiamenti al sistema.

Incide in modo significativo l’eccessiva burocratizzazione che permane nell’amministrazione pubblica e nella scuola. Vanno, inoltre, denunciate le stagioni di taglio delle risorse, umane e materiali, che hanno impedito alle istituzioni di poter fare scelte autonome e rispondenti a quel ruolo di sintesi descritto prima.

Non trascurabile è stato anche il blocco del contratto per ben dieci anni. In tale arco temporale si sono incancreniti processi di coinvolgimento, partecipazione, responsabilizzazione della comunità educante: i più anziani, avviliti dal non coinvolgimento, si sono scoraggiati, i più giovani non hanno mai conosciuto questa stagione di coinvolgimento.

Possiamo dire che oltre ad essere bloccata la contrattazione, introdotta a partire dal 2003, ha faticato a raggiungere una maturità adulta.

Altro fattore non indifferente è la cronica presenza di precari. Ogni cambio di Governo si cerca di trovare una soluzione, innestando solo l’ennesima stratificazione normativa che accontenta qualcuno, scontenta altri, ma non pone fine al problema. Un organico non stabile, continuamente cambiato, incerto nei numeri e nelle persone, fa spesso lavorare le istituzioni scolastiche nella emergenza e nella discontinuità non di offerta ma di qualità della stessa. Parlando di organico, faccio riferimento sia ai docente che agli ata. La mancanza di collaboratori o del personale di segreteria incide altrettanto negativamente sulla piena attuazione delle scelte di una scuola autonoma.

Le riforme degli ordinamenti hanno avuto indubbiamente un ruolo, soprattutto a causa dei tempi diversi di attuazione delle riforme. I vari ordini di scuola sono, infatti, stati coinvolti o travolti in modi e tempi diversi, senza riuscire a raggiungere un disegno complessivo. Tali circostanze condizionano la riuscita di una piena autonomia, soprattutto quando le regole sono calate dall’alto o, coma la recente Buona Scuola, con fretta, con improvvisazione e senza il reale coinvolgimento di chi è attore della scuola.

La L. 107/2015 esplicita nelle finalità proprio il “dare piena attuazione all’autonomia scolastica” (Art. 1 c1) . Tuttavia, tale norma non ha saputo superare la logica dell’imbrigliare le istituzioni scolastiche in norme calate dall’alto, pur investendo un consistente quantitativo di risorse.

Se la Buona Scuola avesse ravvivato il ruolo degli organi collegiali, anziché mortificarli, avrebbe aiutato a completare un quadro di autentica autonomia, integrando gli altri processi di responsabilizzazione già in corso: l’autovalutazione, stesura del Rapporto di Autovalutazione (Rav) e del Piano di Miglioramento (PDM), approvazione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), realizzazione del Bilancio Sociale, conduzione della contrattazione di Istituto.

Questa sarebbe una istituzione scolastica che “predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, Il P(T)OF. (Art 3), che esercita l’autonomia didattica (Art. 4), organizzativa (Art. 5), di ricerca, sperimentazione e sviluppo.

Purtroppo, frequentemente, i diversi processi sopra descritti sono travolti dalle emergenze, dalla burocrazia, dalle prescrizioni ministeriali, tanto da non richiamarsi reciprocamente o da apparire scollegati tra loro.

Conclusioni e prospettive

Alla conclusione di questa breve analisi dei vent’anni dell’autonomia e dei processi ad essa collegati, cercherò di avanzare alcune proposte di rilancio con il necessario coinvolgimento di chi vive e fa la scuola quotidianamente al fine di contribuire nel far raggiungere la maturità a questa autonomia delle istituzioni scolastiche, descritta nel 1999 come una rivoluzione copernicana, che necessita ancora di autentico.