Analizziamo i tre temi del titolo:

Le nuove tecnologie

Il primo elemento saliente da sottolineare che differenzia la rivoluzione 4.0 dalle rivoluzioni che abbiamo conosciuto nella storia e in passato è che il salto tecnologico degli ultimi anni ed il contesto attuale sono contraddistinti dal coinvolgere non solo una specifica tecnologia o uno specifico macchinario ma l’applicazione di diverse famiglie di tecnologie interconnesse tra loro, che a loro volta interagiscono con quelle già esistenti all’interno dell’azienda.  Pertanto, abbiamo le situazioni più diversificate nelle applicazioni aziendali che permettono di utilizzare in maniera versatile le tecnologie abilitanti, i dati per fare delle previsioni, i robot per l’automazione, le simulazioni per poter anticipare i problemi, per prevenire molte situazioni di rischio all’interno delle aziende, il cloud per archiviare o per condividere,…

Ci interessa, però, approfondire il modo di utilizzo di tali famiglie di tecnologie, perché in base al modo di utilizzo diventa determinante l’impostazione che si dà anche all’organizzazione del lavoro.

Infatti, identificherei due approcci: un utilizzo per sostituzione ed un altro, invece, per potenziamento.

Nel primo caso la visione è tendenzialmente tecnocentrica e, pertanto, prevede la sostituzione o l’alleggerimento del lavoro manuale attraverso l’utilizzo delle tecnologie. In questo modo, il lavoro manuale o di routine si riduce o rimane dedicato a quelle parti che non possono essere sostituite dalla tecnologia.

Frequentemente, questo tipo di sistema è guidato da algoritmi e caratterizzato da una marcata individualizzazione del lavoro.

L’impostazione, invece, di potenziamento è inquadrata in una dimensione di complementarietà, che vede la tecnologia a supporto delle capacità dei lavoratori, per consentire loro di dedicarsi molto di più ad un lavoro di regolazione nell’utilizzo delle tecnologie. In questa visione, i lavoratori hanno più autonomia decisionale e il coordinamento che viene messo in atto è più orizzontale che verticistico, meno gerarchico e fortemente incentrato sulla cooperazione. In questo modo, le tecnologie potenziano le capacità di chi lavora.

Quindi, se noi partiamo da questa seconda impostazione, di potenziamento, possiamo cogliere come le tecnologie consentano di personalizzare i prodotti e servizi, possano favorire una riduzione degli sprechi, possano contribuire a ridurre gli incidenti e la fatica fisica, possano favorire una crescita della produzione, una riduzione dei costi e dei tempi di sviluppo di prodotti o di servizi e possano offrire l’opportunità di integrare le informazioni tra i clienti e i fornitori.

Contestualizziamo il tema nel nostro territorio lombardo, riprendo alcuni dati della ricerca degli Unioncamere regionale della Lombardia dell’ultimo trimestre 2020, realizzata attraverso delle interviste che coprono circa 1500 aziende. Da tale indagine periodica emerge che il tema delle tecnologie industria 4.0 è conosciuto dal 82% delle aziende del settore dell’Industria, dal 64% dei servizi, dal 60% delle imprese artigiane e dal 53% del settore commercio al dettaglio. Un aspetto interessante emerso dall’analisi coglie come in occasione della pandemia c’è stato un rallentamento di quei processi di sviluppo dell’industria 4.0, ma hanno avuto, invece, un forte impulso i canali social e gli strumenti per il lavoro a distanza. Mi interessano altri due elementi: la non conoscenza dell’impresa 4.0 e l’investimento nella formazione. La non conoscenza ha riguardato il 36% delle aziende, dato che, invece, nel 2019 era al 45%. Quindi, la situazione sul tema è in continuo sviluppo. Indubbiamente, la velocità con la quale queste tecnologie avanzano induce le aziende ad essere sempre più al passo con i tempi. Il secondo aspetto riguarda gli investimenti nella formazione per fare in modo di conoscere e di integrare queste innovazioni rispetto all’organizzazione del lavoro: riguarda il 17% delle imprese dell’industria, il 14% dei servizi, il 10% del commercio e 8% dell’artigianato. 

Il ruolo della didattica

Veniamo ora al secondo punto che ritengo essere quello un po’ più complicato: come si può inserire il ruolo dell’Istruzione e della formazione all’interno di questo quadro delineato.

Innanzi tutto, è necessario progettare e realizzare un curricolo disciplinare, quindi specifico, che è finalizzato a raggiungere determinate competenze che molto sinteticamente potremmo definire competenze tecniche, cioè specifiche per quella disciplina, accanto ad un curricolo trasversale, finalizzato a far maturare quelle che sinteticamente vengono dette competenze per la vita.

Peraltro, questi due ambiti di competenze, disciplinari e trasversali, sono frequentemente il terreno di confronto fra le aspettative del mondo del lavoro e le finalità del mondo della scuola. In questo caso, faccio riferimento più all’istruzione che alla formazione professionale. Infatti, è frequente la richiesta dell’azienda incentrata su una forte preparazione tecnica, ma vedremo come queste tecnologie rendono indispensabile maturare anche competenze trasversali, facendo riferimento al documento dell’Unione Europea sulle otto competenze chiave l’apprendimento permanente, nella versione del 2006 e la più recente del 2018.

Competenze chiave per l’apprendimento permanente

Il Consiglio dell’Unione Europea ha rivisto nel 2018 le 8 competenze chiave per l’apprendimento permanente elaborate, in una prima versione, nel 2006.

Nella programmazione, ogni istituzione scolastica ed ogni docente dovrebbero individuare le finalità e, quindi, il valore fondativo e formativo di ogni disciplina, cogliere quali siano le competenze disciplinari e le competenze di cittadinanza che si intende far maturare allo studente, individuare i nuclei concettuali centrali della disciplina, quali metodologie far sperimentare allo studente e, quindi, cogliere il contributo di ogni disciplina per il suo successo formativo. Pertanto, tale impostazione richiede davvero una riflessione sulla didattica e deve superare la didattica tradizionale. La prova è avvenuta nel corso del lockdown con la necessità di riorganizzazione la didattica in modalità a distanza: non si poteva ripetere quanto svolto in presenza. Questa nuova impostazione che si rende necessaria richiede una progettazione diversa, per superare la logica dell’apprendimento prettamente trasmissivo e quindi un semplice riversare le proprie conoscenze attraverso la spiegazione frontale. 

Legislazione Scolastica

Conoscerla, comprenderla, saperla applicare.

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Diventa fondamentale calibrare l’esperienza e la proposta didattica sui bisogni e le caratteristiche dello studente, personalizzare il percorso per stimolare ad un ruolo attivo dello stesso, mettere in gioco la dimensione relazionale che diventa indispensabile accanto alla dimensione cognitiva ma anche metacognitiva. Infatti, l’aspetto saliente di questa nuova impostazione didattica centrata sulla competenza non è soltanto quello di imparare dall’esperienza ma anche imparare dalla riflessione sull’esperienza, che aiuta a fare il salto di qualità, facendo maturare un apprendimento significativo. 

Per lo studente diventa anche un importante tappa nella costruzione del personale progetto di vita. 

Nella formazione professionale, gli aspetti di personalizzazione, di laboratorialialità e del progetto di vita sono attenzioni da sempre centrali e che fanno la differenza nella proposta formativa del settore. 

Questa visione è stata ribadita da recenti documenti cui le istituzioni scolastiche devono far riferimento: il decreto legislativo n. 66 del 2017 sull’inclusione, il decreto legislativo n. 61 sulla riscrittura dei percorsi dell’istruzione e formazione professionale,…

Alla scuola è richiesto di avere una didattica davvero al passo con i tempi, quindi, diventa indispensabile che tale nuova impostazione di una didattica per competenze divenga operativa sin dai primi anni della scuola d’infanzia, perché non può più riguardare soltanto la scuola secondaria

L’organizzazione del lavoro

L’impegno dell’istruzione e della formazione prima sinteticamente approfondito, deve preparare i cittadini, ormai anche cittadini digitali, i lavoratori e le lavoratrici di domani.  L’organizzazione del lavoro al quale devono essere preparati è un’organizzazione in continua evoluzione, in continua trasformazione, tanto che l’economista Bowlding, docente di economia internazionale di Ginevra, che da 30 anni si occupa dei temi di economia e globalizzazione, ha già coniato un nuovo termine per descrivere il contesto entro il quale ci troviamo: globotica, che va ben oltre la globalizzazione e la robotica.

Nuovi lavori dipendenti che nascono hanno un carattere di autonomia o sono gestiti attraverso delle piattaforme, degli algoritmi oppure lavori dipendenti che necessitano di una forte autonomia, come l’esperienza dello Smart Working ci ha dimostrato proprio nei mesi corsi. Oppure, è richiesto di saper gestire delle piattaforme digitali e delle piattaforme di capitale che fanno incontrare il venditore con il cliente o piattaforme di lavoro che fanno incontrare il datore di lavoro con il lavoratore. Questi sono solo alcuni degli esempi di nuovi lavori che dimostrano come si renda necessario essere in grado di stare al passo con i tempi vista e la velocità con la quale il lavoro cambia. 

Le condizioni di lavoro cambiano, pertanto, bisogna sapere gestire attentamente insieme la dimensione della tecnologia ma anche la dimensione dell’organizzazione perché se i due aspetti viaggiano in parallelo e non si incontrano, manca armonia. L’organizzazione del lavoro deve, quindi, essere necessariamente adeguata alla dimensione tecnologica.

Guardando alla storia, analizziamo solo alcune delle dicotomie manifestatesi:

  • Lavoro impostato sulla mansione o sul ruolo, che ha scardinato le categorie essenziali del giuslavorismo;
  • l’organizzazione del lavoro e la struttura organizzativa.

Il lavoro che è incentrato sulla mansione si incardina sulla posizione, su un inquadramento ingessato del lavoratore che ha un insieme di compiti assegnati in base al principio fordista della divisione del lavoro. Quindi, vi è un inquadramento con determinati compiti da svolgere, una staticità della mansione ed è richiesta una forte specializzazione, è incentrato su una marcata responsabilità individuale. Questo, oggi, si concretizza nel contratto con lo stipendio e l’inquadramento.

L’altra visione, invece, che va considerata in occasione dei rinnovi contrattuali, è incentrata sul ruolo. Il ruolo è una dimensione che si gioca e che è attinta dal mondo teatrale. Tale visione è incentrata sul tema della responsabilità assegnata in base degli obiettivi da raggiungere, dei risultati, Il ruolo da giocare si realizza all’interno di un’interazione con gli altri dove si rende necessaria una permeabilità dei ruoli e dove c’è maggiore autonomia e meno prescrizione. Questo, oggi, dovrebbe concretizzarsi nel contratto con il risultato e le competenze.

Nel discutere dei rinnovi contrattuali in corso va tenuta in debita considerazione tale seconda visione, per non rischiare di avere un’impostazione non al passo con i tempi.

Parlando di struttura organizzativa, possiamo affrontare una serie di dicotomie che descrivono molto bene l’evoluzione del lavoro: il contributo manuale rispetto al contenuto maggiormente cognitivo, la necessità di scambiarsi informazioni, di lavorare in gruppo, di avere una capacità di risoluzione dei problemi; la specializzazione a fronte della polivalenza, della profondità di conoscenze;  la prescrizione a fronte dell’autonomia; il lavoro individuale a fronte del lavoro in team; l’accentramento a fronte del decentramento; la struttura verticale, gerarchica a fronte di una struttura organizzativa di carattere orizzontale;…

Questi aspetti della dimensione organizzativa del lavoro messi in atto per migliorare la qualità del lavoro rendono necessari modelli organizzativi più evoluti, di Lean evoluta.

Per concludere, concentrerei l’attenzione sul rapporto scuola e lavoro e sul ruolo delle organizzazioni sindacali rispetto al tema lavoro.

Per quanto riguarda la scuola ed il lavoro, le esperienze di alternanza, di tirocinio, di apprendistato duale, di formazione terziaria sono tutti terreni di incontro e di progettazione congiunta che possono davvero aiutare a formare i cittadini ed lavoratori di domani. La pandemia ed il lockdown non devono far venire meno l’impegno per la loro promozione e riuscita. Infatti, per le scuole promuovere le competenze non è un superficiale gioco di parole ma è una rielaborazione strutturale della conoscenza che la scuola può riuscire a fare solo ed esclusivamente se esce dal perimetro del proprio spazio scolastico, perché in questo modo può fornire ai giovani giuste opportunità per apprendere in modo reale e mostrare il proprio valore ma anche per educare al lavoro attraverso il lavoro.

Infine, vorrei analizzare il ruolo delle organizzazioni sindacali nei processi di riorganizzazione del lavoro. Questi passaggi richiedono necessariamente una revisione dei contratti che conosciamo, la necessità di riflettere sul rapporto tra la contrattazione nazionale e i contratti di livello o contratti di prossimità. Le organizzazioni sindacali devono assumere un ruolo centrale nelle scelte aziendali per trovare insieme delle piste che aiutino davvero le aziende ad uscire da situazioni di crisi, ad affrontare il cambiamento in modo costruttivo, accompagnando i lavoratori e le lavoratrici in percorsi di riconversione professionale o di uscita incentivata, per non lasciare che si registrino solo effetti negativi prodotti da tali trasformazioni tecnologiche. Altro tema che va promosso è la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa perché può favorire la responsabilizzazione ed il coinvolgimento di tutti i lavoratori nelle scelta aziendale. Per far fronte agli inevitabili effetti della riorganizzazione è indispensabile rilanciare la dimensione di bilateralità ma soprattutto attraverso politiche attive e non esclusivamente passive: questo aiuta a prepararsi al cambio tecnologico con la riconversione professionale, il superamento dell’articolo 18 attraverso un’impostazione che metta al centro le competenze come tutela del lavoratore. Da non trascurare è, poi, una riforma complessiva del sistema previdenziale e assistenziale che non può essere più affrontato solo ed esclusivamente come piccolo intervento per fare cassa ma va affrontato in un’ottica complessiva intergenerazionale. Infine, segnalerei la necessità di ridare centralità alla formazione ed allo welfare aziendale.