Cosa ha inciso sulla mancata piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche? Spesso, le riforme calate dall’alto, che negli ultimi quindici anni hanno bypassato il canale delle sperimentazioni per introdurre cambiamenti al sistema.

Il DPR n. 419 del 31 maggio 1974, ha introdotto nella scuola italiana la sperimentazione e la ricerca educativa, riprendendo alcune indicazioni già presenti nella legge n. 477 del 10 luglio 1973.

Nel dettaglio, la sperimentazione didattica veniva ideata e condotta dal docente, sentito il parere del consiglio di istituto e approvato dal collegio dei docenti, organi collegiali d’istituto, mentre la sperimentazione strutturale era promossa da uno dei diversi organi collegiali e autorizzata dal Ministro della pubblica istruzione.

Dagli anni settanta agli anni ottanta, il ricorso alle sperimentazioni ha prodotto effetti evidenti che hanno portato alcuni ordini di scuola ad essere oggetto di riflessioni anche in molti altri Paesi che hanno guardato all’Italia come terreno stimolante ed innovativo.

La scuola primaria, per esempio, ha sperimentato nuovi saperi e nuove tecniche didattiche per l’apprendimento e l’insegnamento, ha posto nel principio della collegialità docente una dimensione significativa della progettazione educativa e didattica, ha utilizzato classi aperte e flessibili, ha promosso l’integrazione prima e l’inclusione scolastica poi.

La scuola, allora media, oggi secondaria di primo grado, ha cercato di mettere in campo vari percorsi di sperimentazione: l’uso delle tecnologie informatiche, l’introduzione della seconda lingua straniera, il ritorno all’insegnamento del latino, l’avvio di corsi a indirizzo musicale, la scelta del tempo prolungato che integrava in un unico modello le attività sviluppatesi nel corso degli anni. 

La scuola secondaria di secondo grado è stata pienamente coinvolta in percorsi di sperimentazione a partire dai decreti delegati del 1974.

Nonostante il succedersi di iniziative sperimentali negli esempi sopracitati, dobbiamo registrare sostanziali appesantimenti burocratici ed aggravio delle condizioni di apprendimento – insegnamento.
Tra le cause che hanno determinato codesti effetti ci sono sicuramente la confusione frequentemente registrata tra processi di sperimentazione e processi di riforma: la prima è funzionale alla seconda, in realtà, frequentemente vengono erroneamente assimilate. 

Altro elemento che non ha mai favorito un funzionale ed efficace utilizzo delle sperimentazioni vi è lo scarso ricorso a monitoraggi ed analisi delle stesse, per coglierne dati utili all’analisi dei percorsi condotti e, conseguentemente, sfruttarne gli esiti per le scelte future.

A questo quadro si aggiunge l’andamento degli ultimi due decenni circa che ricorre alle riforme calate dall’alto più che a sperimentazioni “costruite” dal basso. La logica di fondo seguita non è, però, quella di un’autentica riforma che dovrebbe avviare un processo a medio o a lungo termine, con un attento monitoraggio dello stesso; in realtà, si è trattato, piuttosto, di modifiche dell’esistente a colpi di leggi, frequentemente in opposizione con il Governo precedente e, non in pochi casi, con tempi talmente ristretti da non poter neppure cogliere gli effetti dell’azione messa in campo.

Sono, invece, un esempio di sperimentazione dal basso processi a medio ed a lungo termine che hanno visto il pieno coinvolgimento del personale per un protagonismo ed un coinvolgimento diretto ed attivo del personale della scuola. Un esempio significativo è stata la progressiva introduzione della riforma della scuola elementare con l’introduzione dei moduli e del team dei docenti: il necessario ed inevitabile confronto in seno agli organismi collegiali istituiti con la legge n. 148/90 ha coinvolto direttamente il personale apportandone un notevole contributo all’attuazione della riforma.

Per anni il fare ricerca, anche informale, nella scuola è stato terreno fertile di sperimentazione, in quanto la ricerca scientifica ha sempre trovato senso rispondendo ad un bisogno di realtà. 

Ne sono un esempio significativo, nel campo della scuola elementare e della scuola dell’infanzia, le sperimentazioni di Maria Montessori e delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi che posero al centro del loro pensiero pedagogico l’osservazione costante della prassi didattica quotidiana.

Purtroppo, negli ultimi due decenni tra mondo della ricerca e mondo della scuola si è faticato a costruire un ponte, privando le due realtà di un’opportunità di ricchezza reciproca, perdendo per la scuola l’opportunità di un sopporto scientifico rigoroso per documentare il proprio lavoro.

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Essendo l’educazione una pratica, un agire intenzionato, che necessita di ripetute analisi delle situazioni, di ricerca costante di soluzioni, di valutazione e di monitoraggio per ridefinire efficacemente le scelte, ci si confronta costantemente con questioni che potremmo definire aperte, in evoluzione.

Quale migliore opportunità se non incrociare il mondo della ricerca che può aiutare nell’analizzare e nel riflettere su tali domande?

Se confrontiamo la professione docente con altre professionalità, come architetti, medici, avvocati,…si registra una tendenza a non documentare scientificamente il significativo ed impegnativo lavoro quotidianamente svolto, perdendone e non capitalizzandone l’enorme capitale di esperienza.

Il mondo della scuola ha, pertanto, bisogno di ricerca in questo senso, in quanto l’attività di ricerca è a servizio di problemi viventi, per concentrarsi sul loro manifestarsi ed essendo l’educazione una pratica che necessita di risposte può trovare nel supporto della ricerca risposte al bisogno di conoscenza e di sensatezza.

Tornare ad avere opportunità di ricucire il binomio fare ricerca e fare scuola fornirebbe un contributo interessante anche alle scelte politiche per investigare il quotidiano fare scuola, per proporre riforme che partano dal basso, che coinvolgano i protagonisti del vissuto educativo e pedagogico, veramente funzionali alle istituzioni scolastiche ed alle finalità delle stesse, evitando quella stratificazione normativa che burocratizza ed appesantisce l’attività didattica ed organizzativa.