La partecipazione nella scuola
Il contesto storico entro cui è maturata la nascita degli organi collegiali del 1974, era segnato da importanti questioni di carattere sociale, politico e culturale.
Innanzi tutto, erano già presenti molti dei problemi che attanagliano ancora la scuola: elevata percentuale di precari, discussioni attorno alla formazione iniziale ed al sistema di reclutamento, la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Tali temi divengono, così, oggetto di rivendicazione tanto da portare nel Giugno del 1970 al blocco degli esami e degli scrutini, con conseguente reazione da parte della società e ad una frattura significativa tra le rappresentanze di categoria ed i livelli confederali.
Accanto a questi fenomeni non dobbiamo, poi, scordare la protesta studentesca che rivendicava una scuola democratica, antiautoritaria, aperta a tutti, non selettiva e non privilegio solo delle élite.
La posizione degli studenti trova risonanza anche nella protesta operaia che non vede possibilità di riscatto della classe operaia se la scuola rimane selettiva ed antidemocratica.
Il più ampio dibattito pedagogico e di riforma ha proprio in questi anni introdotto significative novità in linea con le richieste della protesta: la nascita della scuola media unica (1962), l’istituzione della scuola materna statale (1968), l’introduzione del tempo pieno (1971).
La sommaria ricostruzione del contesto di quegli anni mostra quale situazione insostenibile vi fosse: la contestazione pregiudicava l’ordine pubblico, la strategia della tensione aveva iniziato il proprio progetto di destabilizzazione per un nuovo ordine, le forze politiche non potevano rimanere immobili di fronte a tale quadro preoccupante.
Pertanto, i decreti delegati, da cui discese anche la nascita degli organi partecipativi collegiali, furono una soluzione legislativa alla necessità di riformare la scuola, per incanalare la forza rivoluzionaria in una spinta riformatrice. Infatti, non dobbiamo dimenticare anche le voci critiche che dichiararono essere i decreti delegati una salvezza statica dell’ordinamento scolastico.
Facciamo un salto temporale
La visione di scuola come comunità responsabile, è ritornata al centro del dibattito grazie al rinnovo contrattuale del 2016/18: scuola come comunità educante (art. 24). In esso si mostra una visone in chiave comunitaria che supera la visione organicistico-statuale della scuola e tale revisione è strettamente collegata al processo di riconoscimento dell’autonomia avvenuto progressivamente con la legge Bassanini.
In questo senso, la scuola è considerata, infatti, luogo di relazioni e l’esperienza del lockdown dello scorso anno scolastico ne ha messo in evidenza tutta la portata significativa: comunità di apprendimento, luogo di ricerca e di formazione, spazio di esperienza sociale in cui alunni e alunne, studenti e studentesse sperimentano la loro partecipazione e sono iniziati ai valori democratici, preparandosi ad essere futuri cittadini, nel rispetto reciproco e nella valorizzazione delle diversità.
Il recente CCNL scuola 2016/2018, all´art. 24 rimarca il riconoscimento della scuola come comunità educante di cui sono parte il dirigente scolastico, il personale docente e educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, le famiglie e gli alunni e gli studenti.
Ma cosa è accaduto nell’arco temporale tra i decreti delegati e il riconoscimento della scuola come comunità educante?
Spesso, riforme calate dall’alto, che negli ultimi quindici anni hanno bipassato il canale delle sperimentazioni per introdurre cambiamenti al sistema.
Ha inciso in modo significativo l’eccessiva burocratizzazione che permane nell’amministrazione pubblica e nella scuola. Vanno, inoltre, denunciate stagioni di taglio delle risorse, umane e materiali, che hanno impedito alle istituzioni di poter fare scelte autonome e rispondenti a quel ruolo descritto prima.
Non trascurabile è stato anche il blocco del contratto scuola per ben dieci anni. In tale arco temporale si sono incancreniti processi di coinvolgimento, partecipazione, responsabilizzazione della comunità educante: i più anziani, avviliti dal non coinvolgimento, si sono scoraggiati, i più giovani non hanno mai conosciuto questa stagione di coinvolgimento.
Possiamo dire che oltre ad essere bloccata la contrattazione, introdotta a partire dal 2003, ha faticato a raggiungere una maturità adulta.
Altro fattore non indifferente è la cronica presenza di precari. Ogni cambio di Governo si cerca di trovare una soluzione, innestando solo l’ennesima stratificazione normativa che accontenta qualcuno, scontenta altri, ma non pone fine al problema. Un organico non stabile, continuamente cambiato, incerto nei numeri e nelle persone, fa spesso lavorare le istituzioni scolastiche nell’emergenza e nella discontinuità. Parlando di organico, faccio riferimento sia ai docente che agli ata. La mancanza di collaboratori o del personale di segreteria incide altrettanto negativamente sulla piena attuazione delle scelte di una scuola autonoma.
Le riforme degli ordinamenti scolastici hanno avuto indubbiamente un ruolo, soprattutto a causa dei tempi diversi di attuazione delle riforme. I vari ordini di scuola sono, infatti, stati coinvolti o, soprattutto, travolti in modi e tempi diversi, senza riuscire a raggiungere un disegno complessivo. Tali circostanze condizionano la partecipazione consapevole e la riuscita di una piena autonomia, soprattutto quando le regole sono calate dall’alto o, come la recente Buona Scuola, con fretta, con improvvisazione e senza il reale coinvolgimento di chi è attore della scuola.
La L. 107/2015 esplicita nelle finalità proprio il “dare piena attuazione all’autonomia scolastica” (Art. 1 c1) e attraverso questo impegno, poteva dare una sferzata positiva alla partecipazione nelle scelte di una scuola autonoma. Tuttavia, tale norma non ha saputo superare la logica dell’imbrigliare le istituzioni scolastiche in norme calate dall’alto, pur investendo un consistente quantitativo di risorse.
Se la Buona Scuola avesse ravvivato il ruolo degli organi collegiali, anziché mortificarli, avrebbe aiutato a completare un quadro di autentica autonomia, integrando gli altri processi di responsabilizzazione già in corso: l’autovalutazione, stesura del Rapporto di Autovalutazione (Rav) e del Piano di Miglioramento (PDM), approvazione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), realizzazione del Bilancio Sociale, conduzione della contrattazione di Istituto.
Questa sarebbe una istituzione scolastica che “predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, Il P(T)OF. (Art 3), che esercita l’autonomia didattica (Art. 4), organizzativa (Art. 5), di ricerca, sperimentazione e sviluppo.
Purtroppo, frequentemente, i diversi processi sopra descritti sono travolti dalle emergenze, dalla burocrazia, dalle prescrizioni ministeriali, tanto da non richiamarsi reciprocamente o da apparire scollegati tra loro.
Il fatto di vedere bloccata la contrattazione, introdotta a partire dal 2003, per quasi dieci lunghi anni, dal 2005/07 al 2015/18, ha fatto perdere l’abitudine alla partecipazione ed al coinvolgimento, con conseguente ricaduta anche sui processi utili all’esercizio dell’autonomia da parte delle scuole. Possiamo, infatti, dire che l’autonomia introdotta nel 1999 ha faticato a raggiungere una maturità adulta.
Attraverso il processo di decentramento previsto con la Riforma Bassanini, la legge n. 59/1997, è stata riconosciuta alle istituzioni scolastiche l‘autonomia funzionale. Prima di tale riconoscimento grazie all‘entrata in vigore del DPR n. 275/1999, al vertice si trovava il Ministero della Pubblica Istruzione che dettava le norme e i programmi con natura prescrittiva, i Provveditorati quali corpi intermedi che applicavano i dettami del Ministero ed alla base le scuole. Con il riconoscimento dell’autonomia alle singole istituzioni scolastiche si è inteso passare ad una logica di rete, i cui attori sono le scuole stesse, il Miur (Ministero Istruzione Università e Ricerca), con i propri uffici periferici (Ufficio Scolastico Regionale e Territoriale) ed i propri Istituti di Ricerca e Formazione (Irsae), il contesto sociale, civile, culturale ed economico entro cui opera una scuola, la Conferenza Permanente Stato, Regioni, Enti Locali.
In un contesto quale quello dell‘autonomia la partecipazione consapevole ed attiva diviene chiave di volta per operare scelte reali, rispondenti alle esigenze del tessuto sociale e culturale di appartenenza.
Cosa, allora, non ha funzionato? Come mai oggi tale partecipazione è frequentemente ridotta ad una rattifica di scelte già pianificate?
La scuola è una comunità responsabile?
Ritorniamo al quesito di partenza.
Nel settore privato, in particolare metalmeccanico, si sta cercando di costruire la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa: nella scuola ne esiste già una certa forma… perché lasciarla agonizzante?
Partecipazione, contrattazione e regole sono i pilastri su cui si basa il Documento Unitario per un moderno sistema di relazioni industriali di Cgil, Cisl e Uil del 2016.
La scuola ha già dal 1974 una forma di partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa che si esercita attraverso gli organi collegiali.
Sarebbe, quindi, fondamentale e non più rinviabile rianimare gli organi collegiali, recuperare consapevolezza della loro importanza, stimolare alla partecipazione consapevole,… in vista anche di una eventuale riforma degli organi collegiali stessi.
L’uscita da questa drammatica esperienza della pandemia servirà veramente a mettere al centro del dibattito la scuola, come si sente ripetere da più parti?
Per rimettere al centro la scuola è, però, indispensabile che siano protagonisti consapevoli gli attori della stessa e non spettatori delle scelte della politica.
La dimensione partecipativa, risalente nelle forme e nei processi agli organi collegiali del 1974 necessita chiaramente di una ristimolazione.
Per riuscirvi sarebbe utile un processo di responsabilizzazione della comunità educante che passi attraverso la sperimentazione di forme nuove e dinamiche di partecipazione e non attraverso l’ennesimo tentativo di riforma calata dall’alto.
I più anziani, avviliti dal non coinvolgimento, si sono scoraggiati, i più giovani non hanno mai conosciuto questa stagione di coinvolgimento.
Allora, sarebbe utile un processo capillare dal basso di formazione per riflettere sugli organi collegiali, sulla loro composizione, sui rispettivi ruoli. Solo in questo modo è possibile per chi vive la scuola ricostruire spazi di confronto e momenti di scelta consapevole e costruttiva. In questo senso può essere di grande aiuto sfruttare l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo in potere alle scuole. Accanto ad essa, la recente reintroduzione dell’insegnamento di educazione civica può offrire un’opportunità per tutti gli attori della scuola per fermarsi e stendere un bilancio del proprio esercizio di cittadinanza negli spazi partecipativi dei diversi ruoli.
Solo passando attraverso la sperimentazione diretta della responsabilità e la riflessione sulla stessa, gli attori della scuola possono tornare ad essere e ad esercitare il ruolo di una comunità responsabile.
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